19 Gennaio 2025

Atalanta, riparti: Dublino è vicina. Gli errori e l’amarezza di Roma sono già il passato

[[{“value”:”

Roma. Delusione, forse no. Rammarico, certamente, quello sì. L’Atalanta esce sconfitta dalla quinta finale di Coppa Italia consecutiva, la terza negli ultimi sei anni nel ciclo di Gasperini, la seconda in fila contro la Juventus. Esce a testa alta, tra gli applausi convinti degli oltre ventimila bergamaschi che dopo il triplice fischio finale si sono stretti intorno al gruppo.

Per diversi minuti si sono guardati negli occhi, si sono virtualmente abbracciati, hanno sentito dentro di loro un profondo legame che si è consolidato ancora di più. “Ti amerei anche se vincessi”: uno dei mantra del tifo bergamasco ieri sera all’Olimpico è riecheggiato ancora più forte.

Poi c’è il campo. No, sarebbe mentire dire a sé stessi che è stata la solita Atalanta, quella vista negli ultimi mesi in grado di rullare Marsiglia, Roma e Napoli, affrontare il Liverpool con la forza delle proprie idee. La partita si è messa subito sui binari migliori per la Juventus, in vantaggio dopo quattro minuti grazie ad un’intuizione di Cambiaso, tra i migliori in campo, vecchio pallino nerazzurro inseguito un paio di estati fa, e al gol di Vlahovic.

L’errore della difesa però è evidente. Hien fa il fuorigioco, Djimsiti no. Un malinteso a cui l’Atalanta non era abituata, che si presenta nel momento più delicato di tutti. Colpa della pressione e della tensione di giocare una finale? Forse, anche. Sta di fatto che da quel momento in poi la squadra di Allegri ha potuto fare esattamente la partita che aveva in testa, difendendosi con un blocco basso e tentando di fare male in ripartenza.

 

 

“Il nostro piano gara è saltato dopo 4 minuti”: Gasperini lo ha ammesso nel post partita. Voleva giocare con De Ketelaere e Lookman più aperti, Pasalic e Koopmeiners ad inserirsi centralmente. Si è reso conto che però c’era bisogno di un riferimento per arrivare a concludere. Il problema è che quel riferimento, quello che si chiama Gianluca Scamacca, era in tribuna insieme a Kolasinac e Holm a guardare la partita a causa dei due gialli nelle semifinali tra andata e ritorno con la Fiorentina.

Ci ha provato El Bilal, ma Bremer come prevedibile se l’è mangiato, l’ha costretto a girare al largo, al netto di tutta la buona volontà che ci ha messo il maliano. Decine di cross partiti dagli esterni sono stati facile preda del centrale brasiliano, dominante dentro l’area, coadiuvato da Gatti e Danilo. La Juventus ha alzato un muro che l’Atalanta non sapeva come aggirare, se non con cross e tentati uno-contro-uno di Lookman con l’area piena zeppa di uomini pronti a ribattere ogni conclusione. L’unica passata, sempre del nigeriano, è finita sul palo.

La voglia di provarci fino all’ultimo è stata la benzina dei minuti finali, avari però di vere, grandi occasioni da gol. La Juventus ha potuto gestire quasi tutta la partita facendo a modo proprio. E se non fosse stato per il ginocchio di Vlahovic in fuorigioco di millimetri l’avrebbe anche chiusa prima, meritatamente.

Per la Dea questo ko la prima grande battuta d’arresto di questa stagione: arriva a una settimana esatta di distanza da Dublino, da quella che sarà, comunque vada, la notte più importante della storia nerazzurra in termini di palcoscenico — e che probabilmente andrà affrontata senza Marten De Roon, colui che, non ce ne vogliano gli altri, più di tutti si sarebbe meritato di giocarsi una finale di Europa League con il nerazzurro addosso.

La sua assenza rappresenta uno stimolo in più e va da sé che rialzarsi diventi un esercizio piuttosto semplice: di fronte ci sono ancora obiettivi da conquistare per mettere la ciliegina sulla torta di una stagione che in ogni caso resterà memorabile. Gli errori e l’amarezza di Roma sono già un passato che va messo alle spalle in fretta per ripartire verso un futuro che è ancora tutto da scrivere.

“}]]