De Roon, cuore di capitano: simbolo di un’Atalanta che non vuole mollare mai
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Varsavia (Polonia). Non ha perso l’accento olandese e vien da pensare che non lo perderà mai. D’altronde neanche Strömberg non ha mai perso quello svedese o Denis quello argentino. Eppur Marten de Roon sembra sempre essere il più bergamasco di tutti ogni volta che scende in campo. Forse perché il concetto di “maglia sudata” lo ha compreso sin dal suo primo giorno nerazzurro, oppure perché ormai le parole chiave del dialetto le conosce. Ha fatto anche da guida turistica in giro per la città in alcune occasioni, è uno dei senatori, è ormai considerabile il capitano con Rafa Toloi che è sempre più in avanti con l’età e di conseguenza ai margini.
Sembra scontato, ma non lo è, soprattutto nel calcio del 2024, quasi 2025, quello in cui le bandiere non esistono più, in cui cambiare squadra a volte è una richiesta che proviene prima dai giocatori che dalla società. Non è dato sapere quante volte De Roon abbia pensato a dire addio all’Atalanta, a cambiare aria, a vestire una nuova maglia. Di occasioni ne avrebbe anche avute, ma per lui Bergamo è casa. Anzi, sarebbe Gorle a essere precisi, ma il concetto è lo stesso. Anzi, “l’è stès”. Per rimanere a tema.
A Dublino è stato il vice allenatore di Gasperini insieme a Tullio Gritti, per come ha urlato ai compagni, come li ha incoraggiati. E poi se n’è andato con la coppa tra le mani, portata sul pullman personalmente. A Varsavia è stato proprio lui a portarla in campo, da capitano, appunto. Avrebbe sperato di finire la partita alzando un altro trofeo, non ne ha avuto l’occasione, ma ce l’ha messa tutta, davvero tutta.
Quando si parla di orgoglio di essere l’Atalanta, d’altronde, Marten de Roon è sempre in prima fila. Con la sua voglia, la sua determinazione, la sua leadership che trasmette ai compagni con i fatti prima che con le parole. Andando a recuperare all’indietro con scatti di 30-40 metri, aggredendo in prima e seconda battuta ogni giocatore o pallone che passa nella sua zona, garantendo quell’intensità che Gasperini chiede a tutti i suoi giocatori, soprattutto ai centrocampisti.
Sa adattarsi, perché dimenticare quante volte è scalato in difesa per tappare dei buchi sarebbe sbagliato. D’altronde parliamo di un uomo che di spirito di sacrificio ne ha forse come nessun altro, ma che sa anche adempiere ai compiti offensivi che gli vengono chiesti. Pensate alla partita col Real: chi crossa per l’incornata di Pasalic messa in corner da Courtois? Chi calcia il pallone deviato da Militao sulla traversa? Ovvero: chi confeziona i due palloni migliori per segnare? Marten.
“Mola mia” si dice dalle nostre parti: ecco, De Roon è perfettamente inquadrabile all’interno di questo contesto. È un lavoratore, silenzioso, ma che con il suo esempio trascina gli altri. Ci ha provato anche allo Stadio Nazionale, ci è riuscito per un’ora, poi quando Bellingham ha alzato il livello contenerlo è stato più difficile. Come del resto per tutta l’Atalanta riuscire ad arginare il Real.
Ma basta questo, basta pensare a quanto quel ragazzino di 33 anni si sprema ancora per la causa per scaldare il cuore di ogni tifoso. Anche nei momenti più difficili, anche contro i più forti, sempre in avanti, sempre ‘Gasperiniano’. A volte sbaglia (raro, rarissimo), ma gli viene perdonato. Perchè De Roon di questa Atalanta è ancora un punto fermo e la sua sostituzione – ammesso che qualcuno ci stia pensando – sarà tra le più difficili sfide che la Dea dovrà affrontare nei prossimi anni.
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