A Bergamo il convegno sul futuro del calciomercato: “Bisogna valorizzare l’equilibrio competitivo”
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Bergamo. Non sarà un’altra rivoluzione in stile ‘sentenza Bosman’, come la legge che a metà degli anni ’90 aprì le frontiere del mercato cambiando radicalmente la geografia del pallone e spostando i rapporti di forza tra i club, ma il ‘caso Diarra’ crea un precedente di cui il mondo del pallone dovrà tenere conto. È quanto emerso dal convegno che si è tenuto nella sala Galeotti di via dei Caniana, organizzato dal dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bergamo e che ha visto due illustri ospiti come Andrea Butti, head of competitions and operations della Lega Serie A, e Umberto Marino, direttore generale area istituzionale dell’Atalanta.
Il tema della discussione moderata dall’avvocato Attilio Belloli è stata la sentenza della Corte di giustizia europea del 4 ottobre 2024 che ha messo fine ad una discussione iniziata nel 2014 e che riguarda, per l’appunto, Lassana Diarra, ex centrocampista francese che ha vestito le maglie tra le altre di Chelsea, Arsenal, Real Madrid, Marsiglia e PSG, che un decennio fa giocava nella Lokomotiv Mosca, dove si era trasferito nel 2013 lasciando l’Anzhi per 12 milioni di euro e firmando un contratto di 4 anni a 6 milioni di euro netti l’anno.
Dopo aver collezionato tre espulsioni nelle prime 12 partite, il giocatore è andato al braccio di ferro con il club chiedendo di essere lasciato tranquillo, senza allenarsi, affermando che gli arbitri ce l’avevano con lui: il club gli ha detto di no e a fine stagione Diarra ha risolto unilateralmente il contratto. Inizialmente la società ha chiesto alla Fifa il pagamento di una penale di 20 milioni di euro da parte del giocatore, poi ridotta alla metà.
È stato l’inizio di un lungo percorso giuridico, che in mezzo ha visto il giocatore non poter accettare offerte di altri club (i belgi del Charleroi) ed è finito di fronte alla Corte di giustizia europea — la quale ha stabilito che, per il principio di libera circolazione dei lavoratori, le regole della Fifa non possono limitare la possibilità di un calciatore, visto come ‘lavoratore’, di trasferirsi in altri club e che quindi le norme costituiscono restrizione della concorrenza, con l’esenzione giustificabile solo se c’è incremento di efficienza della regolarità delle competizioni che non può essere portato da misure meno restrittive.
“La Fifa può perseguire questi obiettivi con altri strumenti, secondo la Corte, però questi strumenti non vengono specificati” conclude il professor Stefano Bastianon, docente di Diritto dell’Unione Europea dell’UniBg. “Il problema”, apre Andrea Butti, è che in questo caso calciatore non viene visto come asset per le squadre, ma come lavoratore: occorre una visione comune, perché considerare il calciatore al pari di un ingegnere, per esempio, è per certi versi anacronistico”.
La sentenza, spiega, “non dice che i calciatori possono liberarsi, ma contesta le conseguenze giuridiche e sportive legate alle decisioni sulle risoluzioni unilaterali del contratto: non è che ognuno va dove vuole, ma che alcune norme della Fifa sono contrarie ad alcune norme dell’organismo europeo. E in ogni caso bisogna sempre confrontarsi con i contratti collettivi nazionali dei lavoratori, che sono diversi in ogni stato”.
Dei ‘casi Diarra’ negli anni recenti hanno riguardato anche la Serie A, in particolare il trasferimento di Mauro Zarate dalla Lazio, il passaggio di Salah alla Roma dopo la parentesi Fiorentina e anche il trasferimento di Rafael Leao al Milan, con il contenzioso con lo Sporting che è ancora aperto: “Oggi le società chiedono di aumentare la durata massima del contratto, che in Italia è di 5 anni e all’estero ben maggiore” aggiunge, “mentre questo scenario va all’opposto, con contratti cortissimi e cambiamenti continui, giocatori che si spostano da un anno all’altro”. Condizionando, per l’appunto, anche il player trading ed il mercato: “La formazione e cessione di calciatori genera ricavi fondamentali per i club ed è parte essenziale dei bilanci, come dimostra l’Atalanta”.
A proposito del caso Diarra, il direttore generale Umberto Marino si preoccupa di quelle che potranno essere le ricadute su società e calciatori, “che sono i principali stakeholders”, sottolinea, “per questo la mia curiosità è chiedere alla Fifa come intende approcciare il tema. Dobbiamo stare molto attenti ed essere bravi a mantenere l’equilibrio competitivo e un ambiente sano, creando modelli virtuosi e che per tutti ci sia la possibilità di valorizzare questo spettacolo”.
“Le preoccupazioni ci sono sempre, intorno ad ogni operazione di mercato, che viene studiata da avvocati, fiscalisti, revisori, che ha peso economico e risvolti importanti: si vuole sempre evitare il rischio di contenziosi come questo, durato praticamente una vita calcistica. Un club non ha tempo di aspettare e non vuole rischiare. Il mio augurio è che siano state studiate le conseguenze del regolamento Fifa e che si preservi l’equilibrio competitivo. L’auspicio è che l’antidoto non sia peggio della malattia”.
La certezza è che “il mercato non diventerà ancora più selvaggio: i club hanno esigenze diverse, c’è un atteggiamento più prudente e misurato a livello delle singole strutture”. Insomma, qualcosa cambierà, ma è solo la tappa di un percorso che non arriverà al ‘liberi tutti’ a cui molti fanno riferimento.
Una plausibile soluzione, proposta dall’avvocato Daniele Muscarà (membro del consiglio direttivo dell’Associazione Italiana Avvocati dello Sport) e sostenuta da Federico Venturi Ferriolo (head of Sports allo studio legale LCA) riguarda l’introduzione di più frequenti clausole rescissorie nei contratti, come già capita in alcune occasioni: “Si tratta di una questione culturale, non contrattuale: fissare una clausola è fermare il tempo in un momento, è inevitabilmente una scommessa sul futuro: potrebbe diventare una soluzione, ma non è l’unica”, conclude Butti.
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